Cosa è la libertà fiscale? Non è per niente facile rispondere a questa domanda. Il motivo? E’ molto semplice da immaginare. Il dizionario italiano definisce la libertà come la condizione di chi può agire senza costrizioni di qualsiasi genere. Mentre definisce il termine “fiscale” in senso figurativo come un atteggiamento vessatorio e inquisitorio. Come si può rispondere allora a questa domanda?
Il concetto di libertà fiscale in senso assoluto non può essere valido, in quanto il termine libero è usato in modo improprio. In qualunque paese, il contribuente/cittadino ha l’obbligo di pagare le tasse e per questo motivo non è affatto libero di scegliere se pagare o non pagare le tasse.
Il termine fiscale invece implica già il concetto di obbligatorietà e dovere (anche morale). Termini, questi ultimi, che poco hanno a che fare con la libertà. Detto questo, sono dell’idea che la libertà fiscale esiste solo in assenza del fisco. Se devi lavorare 8 ore al giorno per 180 giorni per pagare il tuo socio in affari (lo Stato) e i rimanenti 180 giorni per pagare te stesso (il tuo stipendio) non si può certo dire che sei davvero libero!
Cosa è la libertà fiscale?
Fatta questa doverosa premessa possiamo definire allora la libertà fiscale come il grado di libertà che un contribuente/cittadino ha dall’obbligo fiscale imposto allo stesso contribuente/cittadino dal proprio governo.
Di recente mi è capitato di rileggere un interessante articolo pubblicato circa un anno fa relativo ad una ricerca effettuata per misurare lo stato di incidenza del prelievo pubblico sul Prodotto Interno Lordo dei paesi europei.
In pratica, con l’obiettivo di monitorare l’andamento della crisi economica nell’arco degli ultimi anni, nel 2015 il Centro Studi Impresalavoro ha analizzato la situazione degli stati europei con l’indice di libertà fiscale, uno strumento per comprendere il funzionamento del fisco in Europa e l’entità del prelievo pubblico sulle ricchezze prodotte dai cittadini europei.
Come funziona l’indice di libertà fiscale?
In pratica, vengono stabiliti degli indicatori e ad ognuno di essi viene fornito un punteggio ad ogni paese europeo. Gli indicatori utilizzati sono 7: il numero di procedure per pagare le tasse, il numero di ore necessarie per pagare le tasse, il total tax rate (quota di profitti che imprese e professionisti pagano al fisco), il costo per pagare le tasse (adempimenti e burocrazia), pressione fiscale in percentuale del PIL, pressione fiscale in percentuale al PIL, pressione fiscale sulle famiglie.
La somma complessiva dei vari indicatori determina il risultato dell’indice di libertà fiscale. Un punteggio alto è indice di un paese con un grado di libertà fiscale maggiore. Un punteggio basso è invece indice di maggior senso di oppressione fiscale.
Il nostro paese, si colloca all’ultimo posto assoluto in quanto a libertà fiscale dal momento che negli ultimi 15 anni le tasse sono aumentate di 3,6 punti rispetto al PIL e solo per il pagamento delle stesse occorrono 269 ore in un anno e più di 14 tipi di pagamenti diversi.
La situazione è stata recentemente confermata anche da una pubblicazione di “The Heritage Foundation” che ha collocato l’Italia tra i paesi moderatamente liberi (al 79° posto).
Considerazioni finali
Non possono mancare un paio di considerazioni finali. In primis, secondo questa classifica e visto il carico burocratico del nostro paese, i commercialisti dovrebbero essere la categoria di professionisti più retribuiti in assoluto! Ma non mi risulta.
In secondo luogo, mi viene da pensare che se fai il commercialista in Italia, dove l’oppressione fiscale è altissima e gli adempimenti fiscali sono numerosissimi, puoi farlo dovunque (pochi paesi hanno un elevato grado di oppressione come il nostro).
Ultima considerazione! Oggi forse, la cosa che ti rende veramente libero è la libertà di pensiero.
Credo che si dovrebbero anche considerare i servizi e la qualità di quest’ultimi ritornati al cittadino che paga le tasse.