Figuriamoci se io non andavo a ficcare il naso sull’interessante ordinanza della Cassazione, depositata pochi giorni fa, dove un professionista ha perso un ricorso sull’applicabilità del redditometro per il calcolo dell’Irpef su 3 studi professionali.
Con l’ordinanza numero 13558 depositata il 20 giugno 2011, la Corte di Cassazione respinge il ricorso di un professionista (dentista) e ritiene valido l’accertamento del fisco che presume che mantenere 3 studi professionali sia una fonte di reddito maggiore.
Ma veniamo ai fatti. Al professionista in questione, invitato a rispondere ad un questionario, gli veniva recapitato un accertamento fiscale sulla base dei coefficienti presuntivi. Per i non addetti ai lavori, i coefficienti presuntivi di reddito sono una specie di presunzione categoriale del reddito del contribuente.
Il professionista si difendeva sostenendo che il mantenimento di 3 studi professionali non è indice di maggior reddito ma piuttosto di maggiori spese.
In sede di contenzioso tributario, la commissione tributaria provinciale ha convalidato l’atto impositivo dell’ufficio. Allo stesso modo la commissione tributaria regionale confermava la decisione della commissione di I grado, dando ragione all’ufficio.
In ultima battuta, avendo il professionista presentato ricorso in Cassazione, la stessa respinge il ricorso con la seguente motivazione: “i coefficienti presuntivi trovano legittima applicazione sulla base della disamina critica dlle giustificazioni addotte dal contribuente ritenendole infondate in quanto il mantenimento di tre studi professionali in tre luoghi diversi dava luogo ad aumento di spesa quantomeno compensate dall’aumento complessivo della clientela pena la antieconomicità del sistema adottato…“.
Per il fisco dunque, la presenza di più studi professionali, lascia presupporre maggiore reddito e quindi maggiore Irpef, poichè se è vero che i 3 studi professionali procuravano maggiori spese al professionista, altrettanto vero è che il professionista doveva necessariamente guadagnare in proporzione, pena l’antieconomicità dell’attività professionale svolta nei tre luoghi.
E tu, sei d’accordo?
Concordo con la tesi della sentenza, in linea di principio, poi bisognerebbe analizzare la questione entrando nel merito dell’accertamento. Tuttavia se avesse ragione il Dentista sarebbe per il fisco una palese contraddizione, come tante altre; per esempio mi è capitato di studiare il caso di un Incaricato alle vendite a domicilio e/o Porta aPorta, denominati anche “Procacciatori d’affari”, di cui alla legge 173/2005 e D.Lgs. 114/98, titolari di partita IVA con volume d’affri superiore a 5000 euro ed i cui compensi provvigionali sono assoggettati a ritenuta di imposta del 23% (sul 78% del fatturato), ai sensi del D.L. 22/11/1993 nr.469, e ritenuta previdenziale di 1/3 (calcolata con aliquota del 26,72% sul 78% del fatturato, totale diviso 3)ai sensi dell’Art.2 della Legge 335/95, i quali non sono obbligati alla presentazione del Modello Unico in quanto rientranti nella Risoluzione Ministeriale 12/07/1995 nr. 180/E (RM 180/E) come Lavoratori occasionali che non hanno l’obbligo delle scritture contabili ai sensi dell’art. 25 del DPR 600/1973 (cfr. La Circolare n.15/E del 05 marzo 2003 dell’Agenzia delle Entrate con oggetto Legge 27 Dicembre 2002, n. 289 -Legge Finanziaria per il 2003-), per cui eccetto una comunicazione non fiscale ricevuta dall’Azienda, per la quale prestano la loro attività, contenente il riepilogo del fatturato annuale con relativi contributi e imposte versate non dichiara nulla e non è soggetto agli studi di settore ne a parametri di controllo fiscale. Facciamo un esempio per giocare con i numeri, ipotizziamo un fatturato di euro 30.000,00, per il venditore Porta a Porta si paga il 23% per ritenuta di acconto sul 78% del fatturato (fà 5382 euro) + 1/3 (aliquota del 26,72% sul 78% del fatturato) (fà 2084 euro) ritenute previdenziali, totale 7466,00 euro, (non paga le addizionali regionali e comunali Irpef) mentre un dipendente pubblico paga il 23% sui primi 15.000,00 euro + il 27% fino a 28.000,00 euro + il 38% sugli ultimi 2000,00 euro + lo 0,9% (di 30.000,00 euro)di add.le comunale + 1,8% di add.le Regionale (aliquote riferite alla regione Lazio e Comuni della Provincia di Roma) fa un totale di 7850+810 di Add.li = 8660 . Tradotto in soldoni fa si che l’incaricato alle vendite paga 1200 euro in meno del dipendente pubblico con la differenza che il dipendente è supercontrollato mentre il titolare di partita Iva no per cui potrebbe d’accordo con l’azienda abbassare l’imponibile evadere l’iva etc.Inoltre mentre il dipendente pubblico ove superi la soglia dei 55.000,00 euro viene assoggettato alla aliquota del 41%, l’incaricato no, per cui con un reddito di 60.000,00 euro si determina la seguente situazione economica:
– venditore PP.
rit. di acc. 10.764,00 euro+ 4168,00 euro rit. prev.= 14.932,00 euro.
– Dipendente pubblico
Irpef (compreso Add.li reg e Com.)= 21.020,00 euro
Quindi si determina per il venditore un imposizione fiscale più leggera del 30% e nessun controllo.Ci dovremmo chiedere quanti sono i lavoratori assoggettati a questo regime? beh! I precari, i collaboratori a progetto e tutti i contratti atipici sono soggetti ad un regime fiscale leggero pur usufruendo della sanità della giustizia della difesa dello stato come i dipendenti pubblici e privati, non capisco perchè i dipendenti debbono pagare un terzo in più. Per cui al Dentista della sentenza bisognerebbe chiedere se il risultato della causa promossa lo danneggia al punto da ridimensionare la struttura aziendale o lo danneggia perchè ritiene di lavorare troppo a fronte di un modesto guadagno?Per la serie il gioco non vale la candela? Personalmente a parità di guadagni l’opportunità di tre studi significa lasciare agli eredi un qualcosa di estremamente importante che molti giovani laureati non hanno avuto e avranno mai una simile chances.Ci pensi bene il mio caro dentista.
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